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La Pasqua Istriana
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imperatrice2

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MessaggioInviato: Mar Mar 21, 08:43:47 Rispondi citando

Pasqua - Vazan

La Domenica delle Palme o Domenica degli Olivi arriva puntuale al fiorire della primavera, dopo il periodo di preparazione quaresimale. Di buon mattino, mentre le donne sussurrando per la casa si preparavano per la messa, gli uomini, prese le forbici da viticoltore, s'incamminavano verso la vicina campagna per tagliare dei ramoscelli di olivo. Gli alberi di olivo brillavano al sole mattutino, con le foglie tremolanti intessute di riflessi argentei, l'aria dolce inebriava con i profumi primaverili, la terra era tiepida e l'erba tenera ondeggiava, cullata dallo zefiro; nel cielo azzurro si rincorrevano le nuvole bianche come sui dipinti prerinascimentali, mentre le fronde dei mandorli in fiore decoravano l'orizzonte.

Tra l'intenso cinquettio degli uccelli, inebriate dal profumo dei fiori appena desti, le donne si affrettavano verso la chiesa stringendo in mano il ramoscello d'olivo insieme con il libro delle preghiere rilegato in nero, mentre i bambini le seguivano, saltellando, per sentieri polverosi. In chiesa, con arie musicali solenni e meste, si cantava la Passione del Redentore: le frasi di Gesù erano cantate dal sacerdote tra il luccichio tremolante degli ori e delle candele accese sull'altare, mentre la parte degli Ebrei veniva cantata dal coro; ma, invece dell'intonazione fanatica e minacciosa che caratterizza le grida degli Ebrei dinanzi a Pilato, la folla dei fedeli, trascurando completamente le regole drammaturgiche, eseguiva questa parte musicale "alla propria maniera", mestamente, con compassione, da cristiani.

Poi, dall'altare il sacerdote benediva il popolo e una massa di ramoscelli di olivo si innalzava frusciante sotto la volta della chiesa, come agitata da un vento improvviso. I ramoscelli di olivo ondeggiavano in un sussurro generale come in quella remota Domenica delle Palme in cui Cristo entrava umilmente a Gerusalemme, e una folla di bambini e di quelli con l'animo innocente come i bambini lo salutava agitando i ramoscelli di palme e di olivo, mentre i Farisei imponevano loro il silenzio, al che Gesù, mite come un agnello, ma sicuro come Dio, parlò: "Vi dico, se loro taceranno, le pietre grideranno!"

Con questi ramoscelli benedetti si toccavano gli angoli della casa - per scacciarne il male - e poi venivano infilati nelle cornici dai santi dipinti appesi al muro oppure sul crocefisso e lì rimanevano per tutto l'anno. Il crocefisso - la rappresentazione stilizzata di Gesù crocefisso, "uomo di dolore" con in testa la corona di spine, richiamava alla memoria il grandioso dramma del Venerdi Santo.

La commovente atmosfera religiosa aveva inizio già alla sera del Giovedì Santo, quando venivano chiuse le "glorie", cioè quando le campane della chiesa divenivano mute, quando Gesù, dopo l'ultima cena, tradito dal proprio discepolo, "si consegna nelle mani dei peccatori".

Nelle nostre case istriane, nel giorno del Giovedì Santo a cena si servivano gli gnocchi di farina, la carne e un radicchio giovane, un po' amaro che voleva ricordare l'amarezza della schiavitù, del male e del peccato, come pure le sofferenze del Redentore che hanno salvato gli uomini da questa schiavitù. Il Venerdì Santo era tutto nel segno della croce di Cristo. Nelle chiese i crocefissi venivano coperti con panni, gli altari erano scoperti e nudi, mentre le campane tacevano come morte.

Durante l'intera giornata si rispettava un rigoroso digiuno e la terra non doveva venir assolutamente toccata, perche in quel giorno in essa riposava il corpo di Gesù. Questa usanza era severa e valeva per tutti. Neppure una foglia di radicchio poteva venir estratta dalla terra e neanche una verga si poteva piantare.

Se, per caso, in quel giorno cadeva anche una sola goccia di pioggia, la gente si disperava, dicendo che quando il Venerdi Santo cade anche una sola goccia di pioggia arriva subito la siccità e la terra sarà arida per tutta l 'estate.

Nel giorno del Venerdì Santo - ma solo quel giorno - verso mezzogiorno si lasciavano gli agnelli tra le pecore perche potessero succhiare a sazietà. In tale giorno le pecore non venivano munte proprio perche si voleva che gli agnelli si saziassero. La gente presentiva certamente il significato dell'Agnello, che in quel giorno soffriva per il genere umano e perciò, di propria iniziativa, con quest'usanza dimostrava a suo modo, in maniera popolare e spontanea, i propri sentimenti religiosi e la propria compassione.

Il giorno seguente, Sabato Santo, incominciavano gli intensi preparativi per la Pasqua. Le donne impastavano e cuocevano il pane, obbligatamente bianco, poi il pane pasquale detto "pinza", nel quale mettevano una fogliolina di olivo, segnandolo - infine anche con la croce, poi le "treccine" (le "titole") con l'uovo sodo, sopra il quale con la pasta veniva intrecciata una croce che fissava l'uovo nella treccia, che era destinata ai bambini e veniva detta "jajarica" e tanti altri dolci di produzione domestica. Inoltre si facevano cuocere le uova nell'acqua in cui bollivano foglie di cipolla, che conferivano ai gusci un colore rosso: il colore del sangue e della vita, sgorgata dal sangue sparso da Cristo, vita pulsante sugli eterni orizzonti. Ad un tratto, dopo tre giorni di silenzio, le campane suonavano solenni, si aprivano le "glorie" e in quello stesso istante cessava ogni lavoro e tutti correvano a lavarsi con l'acqua fresca. La mattina del Sabato Santo, il padre di famiglia si dirigeva verso la stalla per scegliere l'agnello da sacrificare, oppure, se la famiglia non possedeva pecore, si avviava a comperarne uno o almeno carne di agnello. Chissà se, mentre andava a prendere l'agnello, in quel paessaggio, circondato dai muri a secco dei cortili, con i covoni di fieno e di paglia, con le tracce di terra sulle mani incallite, si rendeva conto che con quell'atto, qui in Istria - terra che non aveva abbandonato mai se non per il servizio militare e la guerra - egli si inseriva nella tradizione biblica rituale, antica più di 3000 anni? Chissà se si rendeva conto di star ripetendo il gesto degli antichi Ebrei che, illuminati da Mosè, compivano gli stessi gesti in quegli stessi giorni - prima della propria miracolosa liberazione dal giogo egiziano, di ripetere il gesto dei discepoli di Cristo che proprio nei giorni citati si erano procurati l'agnello per l'ultima cena del Maestro, prima della sua passione.

La sera del Sabato Santo da tempi remoti si tiene la veglia pasquale; la chiesa è illuminata a giorno, viene accesa la candela pasquale e i fedeli depongono i cibi dinanzi all'altare per la benedizione pasquale. La Pasqua imminente aleggia dappertutto: in chiesa, nella gente, nella mitezza della natura.

La mattina di Pasqua, a digiuno, si andava in chiesa per la confessione prima della messa, rispettando così il comandamento della chiesa: "Confessati almeno una volta all'anno, comunicati a Pasqua!", per partecipare quanto più dignitosamente alla grande festa della Resurrezione di Cristo, a quella meravigliosa sinfonia di amore e di speranza, di luce e di pace. Per il pranzo solenne della Pasqua si portavano in tavola: la carne di agnello e i fusi, il brodo e i cappucci, il pane bianco e lo "strudel", il vino bianco e rosso e infine le pinze - pane dolce di colore gialliccio, con la crosta marrone-fiamma e con al centro una croce impressa che, accanto alI 'uovo, simbolo di una nuova vita, vuole essere ugualmente un simbolo - quello dei nuovi giorni illuminati dallo splendore pasquale.

A Pasqua anche le bestie nella stalla venivano nutrite abbondantemente; la gente trascorreva il pomeriggio in un'atmosfera festiva riposante, mentre la gioventù e i ragazzini si divertivano a colpire le uova colorate e con altri giochi. A Pasqua non si andava in visita da nessuno, bensì il giorno seguente, lunedì dopo Pasqua - a Pasquetta, che era pure giorno di festa. I festeggiamenti della Pasqua si ripettevano dopo otto giorni, nella domenica seguente, per Pasqua Piccola/"Mali Vazan" o Domenica Bianca, quando l'impenetrabile arcano dello zenit della vita di Cristo lentamente cominciava a coprirsi con un magico e discreto velo di mistero che si era rivelato con splendore all'alba della Pasqua, la più grande e la più antica festività cristiana, che viene celebrata fin dai tempi in cui vivevano gli uomini che avevano conosciuto personalmente gli apostoli di Cristo.

Ristampato da:

Antun Milovan, "Pasqua vazan", Jurina i Franina, Rivista di varia cultura istriana, No. 50, primavera 1992, Libar od Grozda - Pola, p. 56-57.


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Pasqua istriana

«Pe' I'voveto benedeto ogni logo devi essi neto».

Cominciavano così, con le grandi pulizie, le festività della primavera, che in Istria si svolgevano secondo antichi riti, sia sacri che profani. E soprattutto si cantava: ogni festa, ogni ricorrenza era scandita da un repertorio canoro particolare.

La sacralità dei giorni di Pasqua era vissuta intensamente da tutta la comunità, si respirava nell'aria. Si cominciava con la Domenica delle Palme. A Montona o a Visinada, per esempio, a Messa Grande tutti i contadini salivano al paese con fasci di olivo intrecciati a ghirlandette o a croci. Venivano a gruppi, con ceri colorati e legati con nastri dai colori vivaci. Portavano anche mazzi di rosmarino e di lauro, ed erano tutti vestiti a festa. I ragazzi con i rami di ulivo si divertivano a svuotare I'acquasantiera spruzzando tutta la gente che si trovava nel loro raggio.

Un altro momento di grande fascino era la «Quarant'ore». Capodistria, Isola, Pirano, Dignano ma anche altre località possedevano dei bellissimi altari barocchi in legno, che venivano montati sopra le esistenti strutture fisse di marmo. Per l'occasione erano pieni di candele. I fedeli, a turno, si alternavano nell'adorazione. Il canto scandiva ogni rito; ad ogni salmo si spegneva una candela del grande candelabro posto al centro del presbiterio. l giovani, armati di raganelle e di lunghe bacchette di nocciolo, aspettavano che tutte le candele fossero spente per poi dare il via al «terremoto» che si svolgeva nel buio più totale. In quei giorni i contadini non aravano ne zappavano: per non disturbare il sonno del Redentore, e per non fargli male, smuovendo la terra. E si digiunava.

Le donne di casa intanto, però, impastavano e cuocevano i dolci per la festa, e nelle campagne si macellavano gli agnelli pasquali che, ricoperti di spezie, sarebbero finiti arrostiti nel forno o sullo spiedo.

Ristampato da:

Rosanna T. Giuricin & Stefano De Franceschi, Mangiamoci L'Istria, MGS Press (Trieste, 2001), p. 11.
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